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Tu sei qui: Home Biblioteca digitale Titoli Uebi Scebeli : Diario di tenda e cammino della spedizione del duca degli Abruzzi in Etiopia (1928-1929) / Vito Cosimo Basile ; a cura di Daniele Maria Pegorari - Bari : Stilo, 2010 - 270 p. : ill. ; 20 cm. - recensione a cura di Valentina Verri.

Uebi Scebeli : Diario di tenda e cammino della spedizione del duca degli Abruzzi in Etiopia (1928-1929) / Vito Cosimo Basile ; a cura di Daniele Maria Pegorari - Bari : Stilo, 2010 - 270 p. : ill. ; 20 cm. - recensione a cura di Valentina Verri.


Il volume Uebi Scebeli. Diario di tenda e cammino della spedizione del duca degli Abruzzi in Etiopia  (1928-1929), pubblicato a distanza di 75 anni dalla prima edizione (1935), si inserisce in una collana dedicata alla letteratura pugliese che ha incrociato gli itinerari della tradizione e della storia non solo italiana ma anche europea. L’opera, curata da Daniele Maria Pegorari, presenta il dettagliato resoconto della spedizione in Etiopia di Luigi di Savoia, dal quale il maggiore pugliese Vito Cosimo Basile era stato scelto come membro dell’equipaggio del viaggio. Pegorari nel suo saggio introduttivo, spiegando il significato economico-politico della spedizione, sottolinea l’importanza dell’Uebi Scebeli, un grande fiume che attraversa tutto il Corno d’Africa ed era indispensabile per quasi tutto l’approvvigionamento idrico della colonia italiana, soprattutto della Società Agricola Italo-Somala fondata dal principe sabaudo. Da qui nasce la necessità da parte di Luigi di Savoia di studiare ed esplorare il bacino, la portata, i flussi stagionali e le condizioni di potabilità. Singolare il fatto - come evidenzia il curatore - che sia stato proprio Basile (convocato in qualità di medico ed osservatore scientifico di campioni fitologici e zoologici e di patologie) ad offrire la versione più letteraria del viaggio. Infatti il polignanese, pur non conoscendo nulla di quello che era già stato detto e scritto su quella terra, riesce a realizzare un accattivante e minuzioso ritratto dei luoghi, dei villaggi e dei popoli visitati.

Oltre che la curiosità per i gesti e per gli episodi più quotidiani nella vita delle popolazioni africane, Pegorari evidenzia il patriottismo che connota lo scritto di Basile: un patriottismo lontano da ogni tentazione enfatica di nazionalismo, alimentato dall’amore per la conoscenza e dalla cura delle sofferenze  degli uomini incontrati nel Corno d’Africa.

Pegorari sottolinea inoltre come il maggiore pugliese, nelle sue pagine, abbia saputo coniugare la professione di medico agli interessi umanistici e all’amore appassionato per il suo paese.

L’edizione è arricchita da un corredo iconografico costituito da numerose fotografie scattate durante il tragitto, che fanno dell’opera un ensemble di osservazioni naturalistiche e memorie sanitarie, a cui si intrecciano le descrizioni del paesaggio e degli uomini incontrati con i propri costumi, abitudini e tradizioni religiose. A dare un’immagine più vivida  e più dettagliata dell’esperienza di viaggio – come afferma il curatore - sono le impressioni di Basile (scritte a dorso di mulo o di notte sotto la tenda), che rivelano i sentimenti e lo stato d’animo del viaggiatore-medico.

Nonostante la precarietà della situazione in cui Basile scrive, Pegorari rileva come l’intenzione letteraria del Diario sia evidenziata dai numerosi riferimenti colti ispirati soprattutto dal paesaggio attraversato e visitato, come nel caso della prima visione avuta all’ingresso dell’Abissinia, che induce l’autore a paragonare le montagne abissine dapprima alla scenografia della «più fiera e raccapricciante gigantomachia» greca (p.64) e poi a una «pietraia dantesca» (p.67), appropriandosi - in quest’ultimo caso - della caratterizzazione che Dante fa del’ottavo cerchio dell’Inferno, insistendo soprattutto sul carattere petroso. Una più sofisticata ripresa dantesca si trova nell’utilizzo dell’espressione virgolettata «ne sospigne!», in riferimento ad un improvviso smarrimento della «via lunga, polverosa, uguale, assolata» (p. 81). Basile riprende anche il Cantico delle Creature di San Francesco quando, nei pressi delle sorgenti Oghisò, riferendosi alla grande importanza e all’umiltà dell’acqua, scrive: «Laudata tu sie, sora acqua per questa tua umiltà nuova.» (p.109).

Tuttavia, il curatore fa notare come la letterarietà del testo emerga più chiaramente nei passaggi in cui la fantasia dell’autore non è alimentata tanto dalle memorie scolastiche quanto soprattutto dall’eleganza con cui riesce ad esprimere il suo sentire, conferendo alle pagine lirismo e figuratività (del tutto assenti nel resoconto ufficiale del Duca) come nel caso della raccolta botanica presso Malca Daddeccià: «mi sono sporto giù e m’è parso di partecipare con tutto me stesso, col mio respiro e col moto del mio sangue a questa vita nascosta, sonora, al canto dell’acqua che cade sul sasso perdendosi in stille e ricomponendosi vivida come una dea voluttuosa che al sasso voglia lasciare l’impronta del suo fugace passaggio» (p. 88).

Pegorari focalizza la sua attenzione sulla figura di Basile narratore che si fa personaggio e non cela le sue emozioni: avviene, infatti, che a momenti di grande esaltazione seguano momenti di malinconia e tristezza, che rendono difficile la sua convivenza con i compagni di viaggio.

Ma la testimonianza più importante - come sottolinea il curatore - che il Diario presenta è nella ‘contro-inquadratura’ che Basile offre alle argomentazioni retoriche di quegli anni.

Il polignanese, infatti, nonostante il profondo legame con il Duca, racconta da uomo di provincia la sua vicenda, che si intreccia alla grande storia del Paese, scegliendo la scrittura per fissare per sempre nella sua memoria lo spettacolo che gli si presenta: «continuo a guardare, a guardare perché nulla mi sfugga, perché più profondamente si fissi nella mente questo spettacolo solenne, perché più duraturo e preciso ne diventi il ricordo. Ho paura di dover dimenticare.» (p. 147).

 

Valentina Verri



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