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Orizzonte

 

Tramonto



Orizzonte”. Solo viaggiando in mare aperto si respirano davvero i tanti significati di questa parola. In Adriatico, “orizzonte” può essere un termine geografico, politico, filosofico, a seconda di come ci si guarda intorno. Ma a volte, “orizzonte” può diventare un termine storico ed è stato così in questi giorni, mentre viaggiavamo su una goletta a vela da Bari alla Turchia, ripercorrendo la tratta dei 62 marinai che nel 1087 arrivarono a Myra per riportare a casa le reliquie di San Nicola.
Oltre duemila miglia tra Puglia, Grecia e Turchia: è difficile racchiudere in uno scritto i racconti, le storie, le emozioni e i profumi questo viaggio moderno avvenuto 922 anni dopo quello di cui parlano gli antichi documenti della Traslazione Nicolaiana. Ma tra le immagini impresse nella memoria, non ci sono solo le mete lontane raggiunte o le testimonianze antiche ritrovate, ma anche e soprattutto l'esordio del viaggio, la levata delle ancore da Bari all'alba, guardando davanti a noi il mare aperto, scuro, scurissimo e alle spalle la città addormentata, con le luci fredde delle strade e quelle più calde del castello svevo, della cattedrale, della Basilica. Tutti – lasciando Bari - abbiamo soffermato lo sguardo sulla sagoma aguzza del duomo di San Nicola, pensando al fatto che la chiesa non esisteva ancora quando i marinai e commercianti della Bari bizantina partirono per la “Mirabile impresa” in Turchia.
A noi, che tentiamo di compiere il loro stesso viaggio, questo tratto di Adriatico emoziona: è così diverso e a tratti così uguale, forse, al passato. E, di miglia in miglia, non riusciamo a non pensare a quali attese e paure abbia generato un'avventura in mare a quei tempi, a bordo di antiche “caracche” di legno, con vele e remi e tanto coraggio. Noi costeggiamo la Puglia a bordo di “Ideadue” (con il progetto di Vincenzo Catalano “Ex Oriente Lumen”, fortemente voluto dalla Basilica di San Nicola e sponsorizzato dalla Banca Popolare di Bari) e abbiamo tutte le comodità che i marinai non potevano neanche sognare. Eppure, i venti, l'oscurità, ci portano a pensare al viaggio di quasi mille anni fa, ai tanti che affrontavano le acque per fede o per commerci, così come oggi lo fanno i tanti migranti, tra noi e l'Oriente.
L'Adriatico è un mare che riserva sorprese. Poco dopo Brindisi, quando puntiamo verso la Grecia, trainiamo a bordo un tonno da 13 chili, duro a farsi sconfiggere. Solo a notte fonda approdiamo alla nostra prima tappa greca, l’isola di Erikoussa. Poi, nei giorni seguenti, la navigazione continua tra il profilo di Kerkira e le coste albanesi, belle e selvagge, in un mare che sembra unire tutto e non dividere, né Paesi né popoli.
Le gioie della navigazione sono tante: dalle baie profumate dalle ginestre fino alle rocce che cadono a picco e si allungano frastagliate in mare. Davanti a Syvota, ci fermiamo in un isolotto deserto e coperto solo di macchia mediterranea. Porta il nome che conduce il nostro viaggio: si chiama San Nicola, Ayos Nikolaos, che in Grecia è il nome di decine di luoghi, dalle chiese ai porti, dalle baie alle città. Ma per noi essere qui ha un significato diverso: potrebbe essere questo il luogo in cui si fermarono i 62 marinai che riportarono da Myra a Bari le reliquie di San Nicola. Fu una tappa di riposo, prima della grande traversata verso la Puglia e la sosta nel porticciolo di San Giorgio. Una tappa anche misteriosa perché i documenti parlano di un luogo chiamato Sukea, mai individuato con certezza. E nel nostro giro a piedi per l’isola troviamo molte tracce interessanti e incredibili suggestioni storiche.
Proseguendo la navigazione, costeggiamo lo scoglio angosciante da cui si dice si sia lanciata in mare, uccidendosi, la poetessa Saffo; poi Itaca e Cefalonia, con tutti i richiami omerici e quelli delle atrocità della seconda guerra mondiale. Cefalonia è un tripudio di vegetazione e di rocce che in alcuni punti sembrano lastre di marmo messe in obliquo come se fossero libri su una mensola. Ai piedi delle rocce, il mare turchese, poi blu. Neanche la foschia riesce a cancellare la bellezza degli scogli lavorati da secoli e secoli di ondate. I 62 marinai che riportarono a Bari dalla Licia le ossa di San Nicola potrebbero anche essere passati di qui e forse aver visto queste “foreste” di alberi sul mare, abeti che si chiamano proprio “Abies Cephalonica” ma crescono in tutta la Grecia e sembrano simili ai cipressi. Un paesaggio alpino su un’isola che è stata anche la scenografia naturale della terribile sorte dei soldati italiani della Divisione Acqui, trucidati all’arrivo dei tedeschi.
Una volta a Zante, nella baia di Ayos Nikolaos, i resti antichi di una chiesetta e quelli di una piccola fortezza adibita alla difesa, ci fanno pensare agli antichi assalti dei pirati, anche ora che qui c’è solo pace e che la primavera si respira in ogni punto.

Methoni

Stessa impressione a Methoni, porto in cui siamo arrivati dopo una lunga navigazione e porto in cui si rifugiarono i marinai baresi del 1087: anche qui le tracce nicolaiane sono tante e tutte sembrano ansiose di essere scoperte. Una torre turca domina il porto mentre la cattedrale è dedicata a Nicola; più navighiamo e più ci sembra un santo tra Oriente e Occidente.



Dopo questa tappa, il bel tempo ci lascia per un po’ e ci troviamo immersi in una paurosa burrasca al largo di Capo Matapàn (non per altro considerato dagli antichi come la porta dell’Oltretomba), ma per fortuna dopo 12 ore è torna il sereno e facciamo rotta su Monemvasia, in pieno Egeo. Siamo passati oltre la punta più meridionale d’Europa sconquassati da terribili raffiche di vento a 56 nodi: per paradosso, le scogliere sembravano così alte da ricordare quelle della Cornovaglia. L'”orizzonte” è sempre più una sorpresa. 

Enrica Simonetti


 Faro

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