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pag. 37-38

delle donne incinte di otto mesi, ballare con l’istesso ardore delle altre. Il marchese Palmieri, a Lecce, mi citò il seguente esempio: egli aveva una parente di quarant’anni, nubile, la quale, tutto ad un tratto, cominciò a perdere il suo buon umore, a cadere nella malinconia, ed a diventare intrattabile. Si suppose che fosse stata morsicata dalla tarantola; ma , siccome si vergognava di ballare, il suo mal peggiorava, di giorno in giorno, in guisa, che si disperava della guarigione. Un giorno, passando in carrozza, davanti ad una casa, nella quale una persona, che si trovava nelle sue condizioni, ballava, non le fu possibile trattenersi, e cedette al bisogno irresistibile, di far anch’essa lo stesso. Si slanciò nella casa, e si mise a ballare, insieme all’altra, e dopo averlo fatto, per lungo tempo, si sentì meglio, disparve la malinconia, e riprese la sua salute primitiva.
Eccovi, mio amico, quanto mi si è raccontato, che io vi trasmetto, così come mi è stato dato: in quanto a me, sospendo il mio giudizio, sebbene sia convinto che tutto ciò debba mettersi tra i pregiudizii, che il tempo ha radicati, ed il cui numero è così grande, e che, verosimilmente, domineranno, ancora per lunga pezza nel nostro debole mondo. Vi aggiungerò soltanto, ancora , quello che ho visto, con miei proprii occhi, dopo di che noi lasceremo, una volta per sempre, la tarantola ed i suoi difensori.
Ho veduto, ad Otranto, una giovane, di ventidue anni, ballare, per guarirsi da questa sedicente morsicatura. Era molto ben vestita, per la sua condizione; il luogo della scena era una camera, ornata di piccoli specchi, di fiori e di abiti di seta, di ogni sorta di colori. Non ballava in modo frenetico, né come una persona che si abbandona interamente a questo piacere, ma piuttosto, con una certa freddezza, abbassando gli occhi che di tanto in tanto solleva va per guardarsi in uno degli specchi, per pigliare un atteggiamento decente, ovvero per aggiustare la sua pettinatura, senza, per tanto, smettere di ballare. La musica consisteva in due violini ed in un tamburello. La danzatrice si lavò varie volte il viso, ballando, e faceva attenzione a quanto accadeva attorno a lei. Mi scappò a dire, scherzando, ma a voce abbastanza alta, perché l’avesse potuto ascoltare, che, per una danzatrice, aveva le calze non bene tirate.
 
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Appena ebbi ciò detto, si mise ad aggiustarle; in quanto alle scarpe la superstizione popolare ha deciso che, in simili casi, non bisogna averne. Ebbi la disgrazia di dispiacerle, perché aveva il mio cappello in testa, ed essa aveva una grande avversione pel nero. Non si trattenne dal farmelo capire e, quando mi tolsi questo cappello che l’offuscava , si rimise a ballare con gli occhi bassi come prima. Il suo sguardo non aveva niente di strano, né di sconvolto, al contrario, nei suoi occhi, regnava una dolce tranquillità , e si vedeva che ballava piuttosto a malincuore, anziché con piacere. Ballando, dette ad una donna, che stava tra gli spettatori un garofano, che poi riprese ed inghiottì, come se fosse stata una ciliegia. Ballò diciotto ore di seguito, senza riposarsi, dopo di che i suoi amici la tolsero, di peso, per metterla su di un letto, che avevano avuto cura di riscaldare. A Bari, ho visto ballare un’altra che, del pari, si credeva morsicata dalla tarantola. Era nubile, e sembrava di un quarant’anni. Mi si disse che era il settimo anno che ballava, nell’istessa stagione. Non metteva nel ballo né maggiore attività, né maggiore passione della precedente. Vi scorsi l’istesso sangue freddo, e la vidi dare i suoi ordini ballando sul modo come voleva che si ornasse l’appartamento, piuttosto la oscura e misera stamberga , in cui si svolgeva scena: indicò il posto, nel quale doveva mettersi lo specchio, e quello in cui dovevano piazzarsi gli abiti di seta. Ballava come l’altra , mirandosi nello specchio, sebbene fosse brutta come il peccato, e dopo aver ballato sola , prese una ragazza di sedici anni, che ballò un pezzo con lei, e poscia volle, a forza , farmi partecipare all’istesso onore. Non mi parve del tutto verosimile che questa disgraziata fosse stata morsicata : attribuii piuttosto la sua mania ad un squilibrio del suo spirito, prodotto dalla disperazione di non trovare un amico, od un amante, alla sua età , e con un aspetto così sgradevole.
Eccovi tutto quello che ho potuto osservare io stesso circa questo aracnide e gli effetti della sua morsicatura. Converrete con me, mio caro amico, che il pregiudizio, il costume e l’immaginazione hanno maggior parte della realtà, in questo fenomeno. Notate che non avendo nessun autore antico parlato della tarantola, nemmeno Plinio, che riporta con tanta cura ed esattezza, tutto
 
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