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Trabocchi

 

I ceti rurali della fascia costiera – e non solo abruzzese – sono stati da tempo immemorabile pescatori e contadini. O meglio: più contadini che pescatori. Alla fine del '500 la costa presentava ancora un aspetto desolante per la minaccia turca (come si evince dal resoconto di fra’ Serafino Razzi che pernotta a Francavilla il 5 giugno 1575), per cui i piccoli appezzamenti posti lungo il litorale venivano coltivati da ceti rurali che compivano giornalmente lunghi tragitti partendo dal castrum situato lungo la fascia interna collinare. Poiché l'attività con barche, per se stesse costose, risultava estremamente rischiosa, la “pesca di sopravvivenza” era affidata alle reti lasciate di notte nei pressi della riva, fidando sulla fruttuosa alta marea.

Simbolo di questa condizione che rendeva il mondo rurale quasi sospeso fra mare e terra è il trabocco.
Descritto minuziosamente da d’Annunzio nel Trionfo della morte e definito da G. Piovene “enorme ragno di mare”, il trabocco era in origine una trave ruotante attorno ad un asse che si abbassava ed alzava per premere “sulla gabbia dove sono le olive infrante” ed in seguito, applicatavi una rete, è stata utilizzata “per pescare vicino la riva”.

Il fatto che fra’ Serafino Razzi, attento osservatore, nel compiere il viaggio da Pescara a Vasto a dorso di mulo costeggiando il litorale non abbia stranamente riportato nessuna descrizione dei trabocchi, permette di formulare ipotesi sull'epoca della loro apparizione sul proscenio della storia.
Con ogni probabilità può darsi che la loro costruzione sia stata accantonata nel corso del Cinquecento per la pericolosità della costa, oppure che tali congegni, mutuati dalla tecnica di spremitura delle olive, abbiano cominciato ad animare la costa solo nel corso del XVII secolo, ossia dopo Lepanto, quando l’Adriatico diventa un mare più sicuro.


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